Si può suonare durante il recupero?

È una domanda che proviene da tutte le persone che non sanno se affrontare di petto il problema
della distonia o rimandare, sperando che un giorno le cose migliorino. È uno degli ostacoli maggiori per
chi desidera intraprendere il percorso di recupero.
È inoltre una delle ragioni per la quale spesso chi lo intraprende parte da una condizione di
rassegnazione: già si è immaginato di doversi trovare un altro lavoro (un lavoro “vero” come usano
scherzare i miei amici musicisti), e quindi per lui non si pone il problema di smettere di suonare.
Per questo cui chi soffre di distonia spesso aspetta di raggiungere un livello di difficoltà tanto
alto da essere insopportabile.
Come già scritto in altre parti del sito, uno degli obiettivi del sito stesso è informare sul fatto che
la distonia non è né una tragedia né una divina punizione scagliata dall’alto perché non siamo abbastanza
bravi. Ma è importante sapere che si può intraprendere un percorso di recupero anche se una persona è
ancora in grado di suonare, sebbene non al 100%, senza dover per forza rinunciare a tutta la sua vita
musicale. Bisogna quindi che parliamo approfonditamente dell’argomento.
Il background dal quale la domanda sulla possibilità di suonare durante il recupero sorge è che il
musicista professionista è abituato a considerare il suonare come un aspetto essenziale della vita
quotidiana, come lavarsi i denti, fare colazione o vestirsi alla mattina. Per un musicista è davvero difficile
pensare di passare un lungo periodo lontano dal proprio strumento: è come se ci dicessero che per
intraprendere una certa cura non possiamo farci una doccia e nemmeno lavarci le mani per sei mesi di
fila.
Inoltre il musicista professionista si guadagna da vivere suonando o insegnando il proprio
strumento, e spesso l’impossibilità di smettere di suonare per mesi se non anni è oggettiva.
Ma è davvero così essenziale smettere di suonare per un lungo periodo?
Come sempre la risposta non può che essere individualizzata, e non è intelligente essere
normativi, in questo come in altri argomenti.
La ragione per smettere di suonare durante un periodo più o meno lungo è che si lascia al corpo
ed al cervello la possibilità di apprendere un nuovo linguaggio di coordinazione del movimento che
porterà al recupero dalla distonia che, ricordiamolo, è una difficoltà di coordinazione.
Il fatto di non avere concerti a breve e di non avere la necessità di imparare brani di una certa
difficoltà lascia al cervello la possibilità di concentrarsi sulla “nuova maniera” di effettuare i movimenti
necessari senza ricorrere ai vecchi schemi cristallizati che nel bene e nel male ci sono sempre serviti per
“portare a casa” un risultato. In particolare dà al musicista la possibilità di trovare nuovi movimenti (il
famoso “repertorio di movimenti”) senza curarsi del fatto che il nuovo movimento imparato serva a
questo o a quel dettaglio tecnico. Il cervello può così allentare la tensione di tutto il corpo legata al fatto di
giudicare se il processo funziona, se è a buon punto, o se sta sbagliando tutto.
L’abitudine ad allentare il giudizio (che è uno dei mezzi più efficaci al fine del recupero)
permette al cervello di affrontare il lungo lavoro di recupero stando entro il limite oltre il quale scatta lo
“stato di emergenza” (cioè l’applicazione degli schemi noti, ancorché poco efficaci, per raggiungere nella
maniera nota il risultato voluto) che impedisce un corretto coordinamento dei movimenti. Se possiamo
concederci di non pretendere risultati musicali di eccellenza, il cervello sarà più libero e disponibile ad
imparare una nuova maniera di coordinare i movimenti.
L’apprendimento umano, in qualunque ambito, non è lineare: a giorni si hanno grandi
miglioramenti, altri giorni sembra di tornare indietro, altre volte ci sembra che non funzioni nulla. È del
tutto normale, ed è essenziale essere disponibili ad accettare che nei giorni “negativi” non possiamo fare
altro che aspettare e cercare di star meglio il giorno successivo. Questo può essere esasperante, ma è
essenziale impararlo.
Ancora più esasperante è sentirsi bene e vedere la propria aspettativa delusa dal fatto che,
nonostante l’ottima condizione fisica e psicologica, i movimenti siano più difficoltosi del solito.
Il fatto di non avere impegni artistici ci dà la tranquillità di accogliere con pazienza anche i
momenti più difficili, quando tutto sembra andar male (in realtà questa è solo un’impressione: il corpo ha
bisogno dei momenti in cui non funziona nulla).

Dobbiamo imparare dai cantanti a dire “oggi non sono in forma”, “oggi non è giornata”, e
soprattutto ad accettarlo, perché questo ci dà i mezzi, nel presente e nel futuro, di confrontarci con i
momenti difficili.
L’obiezione comune a queste affermazioni è “Ma come faccio se ho un concerto / un’audizione?
Non posso mica dire al pubblico / alla giuria: scusate, oggi non sono in forma!”
Tutti coloro che sono saliti su un palcoscenico con il proprio strumento in mano però dovrebbero
sapere bene che il momento della performance è un momento speciale, nel quale il corpo si comporta in
maniera totalmente diversa dal solito, ed è in qualche modo il “momento della verità” dal quale sappiamo
se abbiamo lavorato bene prima oppure no. Non c’è pericolo di “non essere in forma” durante la
performance, a meno che non la sottovalutiamo tanto da non innescare la “modalità performance” del
nostro cervello, o, al contrario, se la temiamo così tanto da ottenere lo stesso risultato per non subire uno
stress che non siamo disposti a sopportare.
Quando parlo di sapere se abbiamo lavorato bene prima, però, non mi riferisco solo al preparare
bene il repertorio in programma ma, soprattutto, alla tecnica generale, cioè della coordinazione dei
movimenti. Spesso durante la preparazione di un brano ci preoccupiamo solo che il brano “esca bene”,
senza errori di note, con una buona sonorità, con un buon fraseggio e così via, e ci dimentichiamo di
tenere d’occhio la tecnica generale dello strumento, introducendo in essa i difetti che nel brano stesso
magari non alterano più di tanto il risultato musicale, ma che, una volta accumulati, obbligano il corpo a
compensare le carenze dando origine a cattive abitudini nel movimento. Come ormai sappiamo, questa
può essere una delle origini della distonia.
Se durante il recupero non abbiamo l’esigenza di “essere in forma” a tutti i costi, i risultati
verranno certamente molto prima, soprattutto se impariamo a tenere a bada le aspettative ed a chiedere al
nostro corpo ciò che è pronto a dare, senza sentirci male quando sbagliamo i calcoli ed affrontiamo brani
che è meglio rimandare a momenti in cui il recupero sia più consolidato.
Il problema, di cui purtroppo molti terapeuti non musicisti non si rendono conto, è che
pianificare uno stop assoluto per un lungo periodo può essere una fonte di stress enorme, e questo
maldispone la persona, vanificando in tutto o in parte l’efficacia degli esercizi che richiedono la totale
complicità da parte della persona stessa (gli esercizi fatti meccanicamente non servono a nulla, e forse
sono addirittura dannosi).
Questo significa che chi non è disposto a rinunciare a suonare per un lungo periodo (per una
qualunque ragione) è destinato a tenersi la propria distonia senza possibilità di appello?
C’è chi pensa di sì.
Io non lo credo. Credo solo che il percorso sarà ancora più lungo e difficile, ma certamente sarà
più “a misura di musicista”. L’esigenza di fermarsi deve venire da dentro, ed arriva nel momento in cui il
musicista sente che, in certa misura, l’attività artistica è incompatibile con il miglioramento fisico. E
questo momento è il segnale che la persona è davvero disposta a rimettere in discussione tutto ciò che è
necessario, e paradossalmente è il momento in cui diventa meno necessario interrompere del tutto.

Ma quindi, è necessario che ci sia un arresto totale durante un certo periodo?
Non credo, o almeno non per tutti. Il cervello ha una straordinaria capacità di “incasellare” le
informazioni: le persone che stanno seguendo un programma di esercizi per recuperare dalla distonia
tendono a suonare le cose imparate prima di affrontarlo nella vecchia maniera, senza essere influenzati
dalle nuove acquisizioni. Viceversa, di solito sono in grado di eseguire correttamente gli esercizi
nonostante abbiamo appena suonato nel vecchio modo.
Questo per dire che non credo che l’esecuzione “alla maniera vecchia” sia di ostacolo
all’apprendimento di nuovi movimenti. Penso altresì che la doppia “modalità” di funzionamento del
cervello sia estremamente faticosa, ed in ultima analisi rallenti il lavoro di recupero, soprattutto all’inizio,
quando le informazioni del vecchio modo sono ancora fortissime, mentre quelle relative alla nuova
maniera sono appena abbozzate.
Come da tutti gli ostacoli e le difficoltà della vita, però, possiamo ricavare molte informazioni
anche da questo ostacolo. Dal mio punto di vista non è tanto importante “tenersi lontano” dalla vecchia
maniera di suonare per paura di ricaderci, quanto è fondamentale imparare a cambiare la modalità ogni
volta che la vecchia maniera fa capolino. Non credo che sia possibile dimenticare tutto quello che si è
imparato per molti anni con il massimo impegno, così come non credo che sia possibile che tutto ciò che

abbiamo imparato sia sbagliato. Pensare di fare “tabula rasa” di una vita di studio intenso è una assurda
illusione. Quello che dobbiamo davvero imparare è distinguere ciò che funziona da quello che non
funziona (per noi, individualmente!) e poi essere in grado di mantenere ciò che funziona e di cambiare
quello che non funziona.
Sembra molto banale, ma è il punto essenziale del recupero dalla distonia, ed è tutt’altro che
semplice. Gli esercizi di cui abbiamo parlato nei capitoli ad essi dedicati tendono tutti a questo scopo:
porre le condizioni per “sentire” il proprio corpo, riconoscere i movimenti, le sensazioni, le tensioni, i
riflessi condizionati che ostacolano il movimento (cioè l’esecuzione musicale), sostituire i movimenti
inefficaci con movimenti efficaci.
Il modo di relazionarsi alle difficoltà è assolutamente personale, e quindi il fatto di porre più
ostacoli di quanto non possa apparire ragionevole avrà effetti diversi sulle diverse persone. Per qualcuno
sarà stimolante, per qualcun altro sarà una inutile perdita di tempo, per qualcun altro ancora sarà
insopportabile.
La risposta alla domanda se sia necessario smettere di suonare durante il recupero dovrà quindi
essere la seguente:
– premessa: per un musicista smettere di suonare può voler dire tante cose. Può significare
smettere di dare concerti in pubblico, ma continuare a suonare di tanto in tanto; oppure dedicarsi per un
periodo solo ad un repertorio facilissimo, non presentabile in pubblico; oppure limitarsi a pochi esempi
durante l’attività di insegnamento, badando bene a scegliere solo quei passaggi in cui l’allievo non si
possa rendere conto delle difficoltà del maestro; oppure suonare solo a periodi fissi (una volta al mese,
una volta a settimana) per verificare i progressi fatti con il recupero (questa è l’opzione peggiore, perché
crea grandi aspettative, enormi delusioni, stress e soprattutto non dà affatto informazioni attendibili sui
miglioramenti: tutti sognano di “risvegliarsi dall’incubo” e scoprire un giorno che le loro mani si sono
liberate da tutte le corde che le tenevano legate impedendo loro di suonare; ma non ho ancora conosciuto
nessuno a cui questo sia successo).
– risposta: il processo di recupero è del tutto individuale, nella durata e nelle modalità. Smettere
di suonare secondo una delle modalità descritte nella premessa (o altre ancora) può essere uno strumento
molto valido, a condizione che non crei più stress di quanto non ne elimini. In ogni caso dalla distonia si
esce studiando il proprio strumento, ripartendo dalle nozioni più elementari, ripercorrendo il processo di
apprendimento della tecnica e risolvendo i problemi di movimento che a suo tempo abbiamo “messo da
parte”, compensandoli con movimenti a noi più facili ma meno efficaci. È quindi da mettere in conto un
lungo periodo nel quale la parola “suonare” assume un significato diverso da quello di “preparare un
concerto”.
Questo sarà l’argomento del capitolo sul “nuovo modo di studiare”.