Gli esercizi

Il contenuto del presente capitolo (e degli altri relativi agli esercizi) è una mia personale
elaborazione della tecnica MusiReset® (per la quale rimando al sito www.masavoi.it) ideata dal rolfer
altoatesino Elmar Abram, il cui aiuto è stato determinante perché io potessi tornare a suonare violino e
pianoforte a livello professionistico.
Naturalmente non è possibile in questa sede parlare di esercizi specifici, dal momento che ogni
persona ha le proprie esigenze e difficoltà e, onestamente, descrivere a parole degli esercizi fisici è molto
difficile. In particolare si può descrivere più o meno il “cosa” fare, ma sul “come” farlo non si può che
essere generici, sempre perché ogni persona ha specifiche necessità e difficoltà.
Ed il “come” è così importante che lo stesso esercizio può essere utile, inutile o dannoso a
seconda di come viene eseguito.
L’abilità del terapeuta non consiste nel conoscere a memoria un protocollo di movimenti
predefiniti (metodo semplificatorio purtroppo molto usato ed abusato con pretesa di “scientificità”!); il
punto essenziale è la sensibilità del terapeuta che deve essere in grado di ricavare gli esercizi dalla
persona che sta aiutando, dalle sue difficoltà, dalle sue abilità.
La buona notizia è che per uscire dalla distonia focale non sono necessari sforzi sovrumani, né
cure con effetti collaterali devastanti. Le qualità richieste sono una determinazione incrollabile, una
grande pazienza, molta costanza, e, soprattutto, il desiderio di rimettersi in gioco, accettando concetti
dimenticati come “fermarsi quando si è stanchi”, “il riposo può essere più utile di una grande quantità di
esercizi fatti male” e così via.

Un concetto essenziale da interiorizzare è quello di “repertorio di movimenti” al quale il corpo
possa attingere per ottenere lo scopo desiderato.
Crearsi un repertorio di movimenti significa insegnare al cervello che esistono schemi di
movimento diversi da quelli (totalmente o parzialmente inefficaci) utilizzati fino ad ora.
Ma come si insegna al cervello? L’unico modo è “fare”. I movimenti non vanno “pensati”, né
tanto meno vanno “giudicati”: vanno “fatti”. Ci sono almeno due difficoltà da superare:
– escogitare movimenti estranei alle nostre abitudini motorie è meno semplice di quanto possa sembrare;
si tende a ripetere, a volte con minime varianti, i movimenti consueti
– per molti è difficile rinunciare a pensare “Questo movimento non mi serve per suonare” oppure “Ma
così non riuscirò mai a suonare” oppure “Ma nessuno suona con questa posizione”. In altre parole
dobbiamo riuscire a rinunciare al “giudizio” (buono/cattivo, utile/inutile) e inventare nuovi movimenti.
Perché i nuovi movimenti possano essere acquisiti ed accettati bisogna però che diventino
piacevoli. Il corpo ricerca le sensazioni di piacere e comodità che, tradotto in termini “fisici”, significa:
movimenti privi di fastidiose tensioni e sensazione di stabilità.
Come abbiamo visto nel capitolo sul recupero dalla distonia focale, non è banale riconoscere
queste sensazioni, a causa della non-abitudine ad ascoltare il proprio corpo (l’orrendo termine scientifico
è “propriocezione”). È importante inoltre che questi movimenti riguardino tutto il corpo, senza
dimenticare piedi, gambe, bacino, schiena, spalle e collo.
Ed è altrettanto importante impegnarsi a fondo per avere la più grande fantasia nell’inventare
movimenti, anche apparentemente inutili. Non dimentichiamo mai che anche il movimento che ci appare
più semplice è in realtà una combinazione molto complessa di un’infinità di movimenti, ognuno
caratterizzato da un certo grado di rigidità o morbidezza sapientemente dosati dal cervello (quando le cose
vanno bene…).
Più nello specifico gli esercizi che il terapeuta deve saper ricavare dalle persone che sta aiutando

sono di tre tipi diversi:
– propriocettivi, tesi cioè ad insegnare alla persona a rendersi conto del proprio corpo, delle tensioni
muscolari, dei riflessi condizionati (molte persone, fra cui il sottoscritto, esprimono uno stato di tensione
quando semplicemente prendono in mano il proprio strumento). Il tatto aiuta moltissimo: spesso basta
sfiorare la parte del corpo sulla quale si vuole che la persona concentri l’attenzione perché il suo cervello
possa “trovarla” e gestirla (ad esempio aumentando o diminuendo il livello di tensione)
– sensoriali. Sono gli esercizi nei quali la persona impara a “sentire” soprattutto attraverso il tatto. Può
sentire il contatto con il legno del violino (ogni parte dello strumento: riccio, manico, tastiera, cassa
armonica, fondo, fasce e così via), con le corde (una per una) del violoncello, con l’avorio o la plastica
che ricopre i tasti del pianoforte, i fori da coprire del clarinetto, le diverse chiavi del flauto etc. Il punto di
contatto privilegiato è il polpastrello delle dita, ma, laddove sia possibile, ogni parte della mano può
beneficiare di questo approccio. Ad esempio sulla tastiera del pianoforte è possibile percepire il materiale
di cui è fatta con il polpastrello, con ognuna delle falangi (da sopra e da sotto), con il palmo, con il dorso,
con il polso.
– muscolari. Si tratta dei classici esercizi di muscolatura, ma con una variante di estrema importanza:
aumentare il tono muscolare è solo una delle variabili da prendere in considerazione. Lo scopo ultimo di
questi esercizi è quello di equilibrare la tonicità dei muscoli, che con ogni probabilità nella persona che
soffre di distonia sono assai disequilibrati: alcuni risulteranno eccessivamente tonici (fuori controllo
perché troppo rigidi) ed altri, che da molto tempo non vengono utilizzati, saranno troppo deboli ed
andranno rinforzati. Si tenga presente un dettaglio della massima importanza: non stiamo parlando di
muscoli con la potenzialità dei bicipiti o dei quadricipiti, bensì di un gran numero di muscoli di
dimensioni ridottissime. Di conseguenza gli esercizi devono essere appropriati alla loro capacità di
sviluppo.