About distonia focale

La distonia focale condivide con gli altri disturbi il cui nome inizia con dis- (dislessia, disfasia,
discalculia, disortografia e cosi via) una certa confusione riguardo alla propria individuazione, definizione
e ricerca di cause ed origini: a causa del fatto che la scienza ufficiale non è ancora giunta ad una
definizione univoca di tali disturbi, infatti, molti ne parlano apertamente come di “malattie immaginarie”,
di “fissazioni”, “paranoie” o altri termini dispregiativi, che lasciano intendere che chi ne è colpito in
qualche modo utilizzi questo “handicap immaginario” per sottrarsi al normale lavoro scolastico (per quel
che riguarda dislessia, discalculia e disortografia diagnosticate in età scolare), o per nascondere
inconfessabili incapacità e pigrizie. Nel background di tale giudizio (come peraltro in ogni giudizio) c’è la
concezione tipicamente europea del saper fare come “merito” e del non essere in grado di fare come
“colpa”, secondo un diffuso dualismo culturale che divide la realtà in “bene” e “male”.
Preciso subito che il mio approccio è volutamente “non scientifico”, perché preferisco
considerare le singole persone nella loro individualità e non come anonimi elementi di una statistica; e
soprattutto perché ritengo che il recupero dalla distonia parta proprio da quella individualità che è nemica
del metodo scientifico che, per essere considerato valido, deve valere per tutti o per buona parte del
campione considerato. Non parlerò quindi di percentuali, di tendenze, di medie, ma esclusivamente
dell’esperienza mia e delle persone con cui ho un contatto diretto.
Tutte le opinioni con le quali sono venuto a contatto recentemente (non parlo di vent’anni fa,
quando circolava l’idea che si trattasse di una malattia degenerativa!) sono concordi su due punti:
– la distonia non è una malattia ma un disturbo
– la distonia ha a che fare con il sistema nervoso, ma non si tratta di una malattia neurologica, in quanto i
nervi sono generalmente perfettamente intatti e funzionanti (allo stesso modo in cui non si può parlare di
dislessia se non in presenza di un quoziente intellettivo medio-alto).
Cosa distingue una malattia da un disturbo? In maniera estremamente semplificata, possiamo
dire che una malattia è una condizione determinata da un agente patogeno che danneggia una parte del
corpo e che si risolve rimuovendo l’agente patogeno, a meno che esso non abbia provocato danni tali che
il corpo non sia in grado di provvedere alla propria rigenerazione.

In un disturbo non vi è un agente patogeno: non esistono il “virus della distonia” o il “batterio
della dislessia”. Alla base di un disturbo c’è un funzionamento “non-convenzionale” del corpo,
soprattutto del sistema nervoso centrale, nel coordinare i pensieri (nel caso di dislessia, disfasia etc.) o i
movimenti (nel caso della distonia).
L’immagine più comprensibile per spiegare il concetto di funzionamento “non-convenzionale” è
quella che si usa per spiegare la dislessia: una persona non dislessica per collegare un pensiero A ad un
pensiero B sceglierà un percorso che possiamo definire “in linea retta”, mentre un dislessico sceglierà una
via che agli altri apparirà tortuosa.
Facciamo un esempio: nell’insieme quadrato – triangolo – rinoceronte – cerchio, la maggior
parte delle persone riconosce che l’intruso è il rinoceronte, non essendo una figura geometrica. Un
dislessico potrebbe dire che è il cerchio, in quanto è l’unica parola che non contiene la lettera “t”, oppure
il quadrato perché è l’unica parola con un numero pari di lettere (non a caso i test sulle associazioni di
idee o di immagini sono utilizzati proprio per diagnosticare la dislessia).
Possiamo dire che la possibile risposta del dislessico è sbagliata o che dimostra scarsa
intelligenza? Certamente no. Possiamo però notare che non ha preso in considerazione l’opzione più
ovvia ed ha cercato un collegamento che ad un non dislessico può apparire incomprensibile.
Possiamo anche notare (senza fare i soliti nomi dei celebri personaggi del passato che attualmente sono
classificati come dislessici) che questa maniera di vedere il mondo in maniera “non-convenzionale” ha
dato all’umanità una ricchezza che non sarebbe stata possibile solo attraverso il pensiero “convenzionale”
(anche la mitologia dei distonici, come quella dei dislessici, ha i suoi divini padri in Schumann, Couperin
e molti altri).
Come possiamo applicare questo discorso alla distonia?
La distonia, secondo le definizioni più diffuse, è un disturbo del movimento caratterizzato da

contrazioni involontarie e ridotto controllo muscolare. In sostanza la persona che ne soffre crede di dare
un comando ad una parte del corpo (ad esempio di alzare un dito) ed ottiene un risultato inaspettato (ad
esempio il dito non si alza, oppure si abbassa, oppure il dito che si alza è diverso da quello al quale
pensava di aver dato il comando).
Possiamo parlare di distonia solo se il movimento è possibile, ad esempio senza lo strumento in
mano (per proseguire con l’analogia con la dislessia, che si può invocare solo in presenza di un quoziente
intellettivo medio-alto). Se il dito è paralizzato a causa di un danno neurologico che impedisce al nervo di
portare il comando del movimento, o se il muscolo è lesionato a causa di un trauma fisico, non siamo più
nell’ambito del disturbo del movimento, ma in una vera e propria patologia.
Dunque, se siamo in presenza di distonia, il movimento è possibile, ma quando serve la persona
non è in grado di utilizzarlo al momento giusto.
Qualcuno ha ipotizzato che si possa trattare di un disturbo di origine psicosomatica, seguendo un
ragionamento che sembra ineccepibile: se il movimento è possibile vuol dire che non ci sono patologie
fisiche che lo impediscano, ed è quindi un problema psicologico. Ad esempio la causa potrebbe essere lo
stress dovuto all’attività professionale del musicista, che richiede di essere sempre ai massimi livelli. Ma
chiunque soffra di distonia sa che non basta trovare la tranquillità, ad esempio con una bella vacanza, per
ritrovare la perduta libertà di movimento, nemmeno in minima parte.
Perché dunque il dito del nostro esempio non si alza al momento giusto, se è in grado di farlo in
altri contesti? La complessità della risposta, racchiude anche la complessità delle soluzioni da adottare per
uscire da questa condizione, così frustrante per il musicista, e la troveremo nel prossimo capitolo,
dedicato al movimento.